INTERVISTA A DARIO CRIPPA
Il 13 ottobre si è tenuta l’intervista a Dario Crippa, ex Sarpino e ora studente di Neuroscienze ad Amsterdam: ha partecipato alla Global Sumud Flotilla, una missione non violenta con l’obiettivo di forzare il blocco navale imposto da Israele e portare aiuti umanitari in Palestina.
Già durante i cinque anni di liceo Dario ha sviluppato una particolare attenzione verso le situazioni e i problemi geopolitici del mondo, mosso anche da una certa sensibilità presente in famiglia. Nel 2017, poi, ha trascorso un periodo di vacanza in Cisgiordania: lui e la sua famiglia, con l’aiuto di una suora bergamasca hanno avuto la possibilità di attraversare il West Bank con un semplice autobus. Durante i ripetuti controlli alle stazioni di blocco, mentre loro venivano fatti passare con tranquillità, i Palestinesi presenti dovevano invece aspettare ore prima di poter risalire sull’autobus. Proprio in questa occasione, un anziano palestinese si è rivolto a Dario, chiedendogli di raccontare in Europa quello che stavano subendo.
Così, anche nel ricordo di questa richiesta d’aiuto, Dario si è sentito sempre più spinto a mobilitarsi, specialmente durante i suoi anni di università ad Amsterdam, e, più recentemente, a partecipare alla Global March To Gaza, tenutasi al Cairo (12 giugno 2025). Dopo il blocco di questa marcia, tra gli attivisti presenti si è compresa la necessità di agire via mare: è nata così l’idea della Global Sumud Flotilla.
Per partecipare alla missione, bisognava tenere una sessione di colloqui con le HR (Human Resources), volta a valutare l’idoneità dell’individuo ai possibili scenari. Nello specifico, per ogni nave si cercavano: marinai (tre sulle imbarcazioni italiane), giornalisti e content creator (la presenza di testimonianze sui media era essenziale per gli organizzatori). Dario, membro del gruppo olandese, è rientrato nella terza categoria: ha infatti un canale YouTube dove diffonde video su questioni umanitarie.
Dopo la selezione, i partecipanti hanno affrontato diverse preparazioni: tra queste un training legale, che prevedeva la conoscenza di documenti essenziali per la missione, come le risoluzioni dell’ONU e le sentenze del settembre 2024 della CIG (per cui, per esempio, Israele non dovrebbe poter bloccare l’accesso agli aiuti umanitari); un training sulla non violenza e pure un’esercitazione sul comportamento da seguire in caso di intercettazione o attacco, una possibilità di cui si era fin da subito consapevoli. A questo punto, il 31 agosto, Dario si è trasferito definitivamente a Catania: in questi giorni tutti gli attivisti presenti hanno preparato le navi presso il porto di Augusta e hanno iniziato a condividere le loro incredibili storie. Prima della partenza, Dario ammette di aver riflettuto sul rischio a cui andava incontro, ma, con una certa esperienza di viaggi e attivismo, sapeva di poterci riuscire.
Il 14 settembre è partita Otaria, una barca di 12 m su cui Dario ha condiviso la ‘quotidianità’ con altri cinque italiani, tutti sopra i 40 anni. Persone con una grande esperienza pregressa, con le quali a volte sono sorti naturali momenti di discordia, ma che sono state le vere forze che l’hanno spinto a continuare. Dario ricorda in particolare il comandante di 71 anni, Cesare, un uomo calmo, capace di infondergli molta sicurezza.
Nella notte tra il 23 e il 24 settembre si è verificato il primo attacco da parte dei droni. Quella notte Dario era di vedetta, e un istante dopo aver notato la presenza sospetta di un drone velocissimo, quest’ultimo ha fatto esplodere una bomba sonora a prua. Gli attacchi di quel giorno sono stati ben 12 e tre barche sono state danneggiate: questo assalto inaspettato, avvenuto in acque internazionali e proprio per questo illegale, ha ovviamente generato paura tra i presenti.
Il sollecito dal governo italiano a fermarsi a Cipro non ha tardato ad arrivare: questo invito aveva in realtà un valore molto scarso, dal momento che si trattava di una missione globale, e non unicamente Italiana. Gli stessi attivisti che hanno deciso di non continuare la missione dopo questi eventi ammettono di esser stati mossi principalmente da motivi personali.
Dario ha proseguito il viaggio, e nella notte tra l’1 e il 2 ottobre è avvenuta l’intercettazione da parte delle forze israeliane, a circa 50 miglia dalla costa di Gaza (ancora una volta in acque internazionali). Intorno alle ore 21, dozzine di imbarcazioni non identificate si sono presentate intorno a loro; dopo qualche ora, alcuni soldati armati sono saliti sulle navi, dove hanno sommerso di domande gli attivisti, per poi perquisirli. I soldati li hanno lasciati dormire nel ponte della nave e il giorno successivo li hanno trasferiti tutti quanti al porto di Ashdod. Qui, Dario e gli altri attivisti sono stati messi in ginocchio sotto il sole, con il divieto di muoversi e senza acqua. Durante queste ore, Dario racconta di aver visto un ministro degli esteri israeliano registrare video dove fingeva di dare acqua ai prigionieri: appena la registrazione veniva spenta, l’acqua era portata via. Non solo, immobilizzato in ginocchio, Dario ha assistito alle umiliazioni rivolte dagli Israeliani a Greta Thunberg (anche lei partecipante della missione): l’hanno gettata a terra, sputandole addosso e avvolgendola nella bandiera israeliana.
Successivamente, Dario e gli altri sono stati sottoposti a interrogatori e perquisizioni (in cui son stati privati di tutto ciò che avevano tranne che del passaporto), per poi esser invitati alla firma di un documento in ebraico. Informato grazie al training legale, Dario sapeva che firmare quel documento significava dichiarare di essere entrato illegalmente in Israele e poter rientrare a casa entro 72 ore. La sua decisione è stata quella di non firmare, rifiutando di ammettere il falso, ma oggi comprende la decisione di chi ha firmato nella paura di ciò che sarebbe potuto accadere. Gli attivisti sono stati quindi condotti su autobus carcerari: avevano fasce così strette intorno ai polsi da impedire la circolazione del sangue; alcuni, bendati, temevano di essere picchiati o stuprati.
Arrivato in un carcere di massima sicurezza al confine con l’Egitto, Dario è stato condotto nella sua cella o, come la chiamavano le guardie Israeliane, “stanza”. Il carcere è stato difficile per molti, ma Dario crede che su di lui non abbia avuto un forte impatto. La cella veniva cambiata ogni notte, anche se lui ha avuto la fortuna di ritrovarsi sempre insieme a un altro uomo, Marco, di 47 anni, capace di sostenerlo grazie all’esperienza di diverse situazioni simili vissute in passato. Chi si trovava nella prigione aveva accesso solo all’acqua del bagno, caldissima e malsana (Dario racconta di esser stato male ogni qual volta la beveva); il cibo all’inizio era portato su dei piatti, mentre dopo solo qualche giorno veniva sparso su vassoi. Dario non ha partecipato allo sciopero della fame seguito da diversi attivisti, ma il secondo giorno in prigione si è unito agli altri protestando, per far sì che venissero portate medicine almeno ai malati cronici. Nella sua cella di 13 persone e 8 letti, un signore di 75 anni ha sviluppato un’infezione polmonare e Dario ha dovuto lasciargli il suo letto. Così come non era concesso di ricevere medicine, non è stato neanche permesso effettuare chiamate o chiamare un avvocato. Dario è stato sottoposto in una cella a un interrogatorio da parte di un agente del Mossad: il training gli aveva suggerito di rispondere “a cipolla”, cioè fornire risposte generali e lasciare che fossero loro ad andare nello specifico (per esempio, come punto di partenza di Otaria ha indicato l’Italia, o ancora, ha dichiarato di aver scoperto della missione su Facebook, pur non avendolo aperto dal 2010).
Solo dopo il colloquio con il Mossad è arrivata la console italiana, anch’essa maltrattata e derisa all’interno del carcere: si è presentata sorridente ed entusiasta di “trovarli bene”; la sua presenza è stata significativa, ma molte richieste non sono mai state mantenute (l’aiuto consolare italiano è stato quindi presente, ma forse non come ci si aspettava).
Gli italiani che avevano firmato il documento di rilascio sono stati liberati la sera di sabato 3 ottobre; Dario ha aspettato cinque giorni, finché è giunto anche per lui il momento del ritorno a casa: dopo una doccia e una visita medica, è stato portato con i compagni su autobus carcerari fino all’aeroporto, da dove è partito l’aereo diretto ad Atene. Lì gli attivisti italiani hanno comprato i biglietti di ritorno per Malpensa, dove sono atterrati la sera di lunedì 6 ottobre.
Nonostante la Flotilla non abbia raggiunto il suo obiettivo principale e gli aiuti umanitari siano stati sequestrati da Israele, Dario in questa intervista ha dimostrato e trasmesso il vero valore della missione e della testimonianza dei suoi partecipanti. Il continuo assistere alle sofferenze di persone innocenti e il sentito bisogno di portare aiuti hanno unito persone da tutte le parti del mondo in una missione unica e globale.
La Flotilla ha insomma portato con sé un senso di umanità percepito da tutti coloro che hanno seguito il viaggio delle navi verso Gaza. Al di là di ogni pensiero politico, al di là dell’aver partecipato o meno agli scioperi nazionali, le coscienze di molte persone sono state smosse e la loro attenzione è stata rivolta in maniera più attiva e concreta verso la realtà di questa guerra. Per la Global Sumud Flotilla, questo non può che essere un obiettivo raggiunto.
“Non mi piace la guerra. Tutte le guerre.”
“E allora perché ci vieni?”
“Perché…si è sempre attratti dalle cose o dalle persone che non si capiscono.”
“Cosa non capisci?”
“Gli orrori, ad esempio. Gli orrori di cui la guerra si nutre”.
- Oriana Fallaci in “Niente e così sia”
di Chiara Belotti (4ªB) e Alberto Bolognesi (3ªE)
