Pubblichiamo di seguito l’articolo di Stefano Martinelli IIIB, che ci è sfuggito nella redazione dell’ultimo numero. Alleghiamo notevole quantità di scuse ai lettori e all’autore.
L’ultimo Viaggio di un sognatore illuso
Suicidio fu ciò che lesse sui giornali, subito si precipitò in camera e cercò nei numeri precedenti, senza trovare uno straccio di notizia al riguardo. Sconsolato, si trascinò in cucina e, scrutando nell’oscurità del frigo spento ne trasse una bottiglia dal contenuto vischioso e verdastro. Si gettò a terra, con la schiena schiantata contro il muro, strappò e bevve. L’iniziale senso di nausea che aveva pervaso il suo stomaco lasciò libero sfogo ad una sensazione di torpore e calore così dolcemente familiare, specialmente dopo gli ultimi trascorsi. Subito si addormentò, la testa ciondoloni accasciata sul petto.
Aprì gli occhi, scosso da un ticchettio che lo turbava e lo costringeva a sbattere le palpebre ad ogni rintocco. Vagò con lo sguardo nella stanza e si accorse che la persiana della portafinestra era eccitata da qualche energia che proveniva dall’esterno, come un forte vento. Si sollevò e, avvicinatosi alla finestra, scostò due strisce di alluminio scorgendo la finestra aperta. Lo investì un fascio luminosissimo, abbagliante, che lo costrinse a ritrarsi rapidamente. Subito alzò la persiana e si spinse fuori, osservando l’enorme spazio bianco che gli si stagliava davanti. La casa si trovava al centro di una pianura, interamente ricoperta di ghiaccio. Esattamente di fronte all’osservatore un fiume si apriva la strada nel ghiaccio, dividendosi in prossimità della casa in modo da formare due rami distinti che si ricongiungevano alle spalle dell’abitazione. Di fronte esso si perdeva in lontananza assimilandosi al terreno pianeggiante, interrotto all’orizzonte da catene montuose che si stagliavano immense e disseminate di ghiacciai il cui riflesso brillava alimentato da un sole verticale e torrido.
L’acqua era calma, perciò egli cominciò a tastarla con i piedi, finché riuscì a restare in equilibrio sulla superficie, e cominciò a risalire il fiume camminando nel suo centro. Dopo due o tre minuti, forse due o tre giorni, si voltò e vide la propria abitazione lontanissima, quasi un punto in mezzo al bianco. Scrutò meglio, socchiudendo lo sguardo, e rise, perché gialle gli parevano le finestre, blu le porte, verde brillante le pareti, il tetto di un nero brillante. Rise perché non ricordava che mai la casa avesse avuto una simile policromia e voltandosi di nuovo si stupì non poco della miriade di case multicolore da ciascuno delle quali altrettante persone avanzavano su innumerevoli ramificazioni del fiume. Si rimise in cammino, finché non raggiunse un punto dove numerosi rami del fiume si ricongiungevano, e miriadi di persone che camminando di disponevano su file composte e parallele per l’interezza dell’alveo. Si pose anch’egli tra le file e, camminando, si domandò se anche gli altri si fossero ritrovati catapultati lì senza un valido motivo. Sicuramente si sentiva bene, era pervaso da un meraviglioso calore, suscitato dall’astro dorato che implacabile incombeva sulle loro teste. A forza di camminare, si ritrovarono in vista del promontorio e penetrarono in una vallata dove il ghiaccio dominava l’intero paesaggio, e rocce e neve e acqua e uomini si alternavano alla sua vista. La processione umana si dirigeva lentamente verso il termine della conca: sul fondo si apriva uno spiraglio fra le rocce e i ghiacci, che conduceva probabilmente ad un’altra valle. Improvvisamente un gigantesco gaiser eruttò alla sua destra, così che il gruppo di persone al suo fianco fu sbalzato via. Il terreno tremò ancora, e ancora, e ancora: crepe si spalancarono ovunque, inghiottendo la moltitudine delle persone nel profondo del suolo gelato. D’improvviso lui si sentì drasticamente triste, deluso, sconfortato, tradito da quel suo mondo stupendo e colorato, tanto che scoppiò in un pianto sguaiato e singhiozzante. Le sue lacrime assumevano i colori dell’arcobaleno, ma spenti, opachi, insipidi. Lentamente si unirono alle lacrime di tutti i sopravvissuti, che riempirono la valle di un manto multicolore mortalmente cupo, tanto che anche il cielo si sentì in dovere di ricoprirsi di nembi marroni e lividi. Fu un istante, un rombo, una crepa nel terreno, anch’egli sprofondò nell’abisso.
La porta della stanza si spalancò, due uomini entrarono e trovarono il suicida a terra, accasciato contro la parete. Nella mano destra, una bottiglia vuota. Nella sinistra, un giornale. Sopra, la sua foto.