Nel caso a qualcuno fosse sfuggito, siamo in un momento di passaggio. Per la precisione, siamo in quel genere di momento di passaggio in cui nessuno se la sente di festeggiare. Insomma, vien da chiedersi, è finita l’“era Berlusconi” e nessuno dice niente? Innanzitutto, forse, perché si fa una certa fatica a realizzare che sia finita. Una figura che ha dominato la scena politica per diciassette anni non può semplicemente sparire, dimissioni o meno; e infatti Berlusconi non è affatto sparito, a giudicare dalle sue promesse di continuare l’attività parlamentare. Ma il vero motivo per cui quasi nessuno tra coloro che evidentemente aspettavano la caduta del Presidente del Consiglio ha particolare desiderio di esultare è che la situazione attuale rimane estremamente preoccupante. Oltre a essere un momento di passaggio, questi giorni costituiscono soprattutto un momento di incertezza. Governo tecnico, governo politico, la Lega che dice no a qualunque proposta e chiede le elezioni, Napolitano che nomina Mario Monti, il “totoministri” che si è trasformato in un gioco su internet: insomma, una discreta confusione in cui non si sa bene quali siano le prospettive immediate.
Già, le prospettive. La cosa certa è che non sono rosee. Il sospetto è che manchino del tutto. Non nel senso che non ci sarà un futuro, evidentemente; nel senso che proprio la “mancanza di prospettiva” è uno dei rimproveri che più spesso vengono fatti alla classe politica italiana. Si fa sempre notare come ogni governo sembri prendere i provvedimenti che più sono utili sul breve termine, magari in vista di una rielezione, senza badare a quanto potrebbe succedere in un lontano futuro in cui la responsabilità cadrà su altri. Ho pochi dubbi sul fatto che questo a Mario Monti non sarà concesso; anche se l’utilizzo continuo dei mercati come indicatori dello stato dell’economia può essere da questo punto di vista preoccupante. Il mercato, per sua natura, fluttua ogni giorno (anzi, molto più spesso): dunque non è adatto a valutare provvedimenti che dovranno essere efficaci sul lungo periodo, a meno di una notevole lungimiranza degli analisti. Ma non sono un’economista.
Ecco il punto: non siamo economisti. Una buona parte delle persone che leggeranno questo articolo non sono neppure elettori, e una parte veramente minima potrà in un momento della propria vita definirsi “un politico”. I cittadini medi, normali – noi studenti, magari – cosa devono pensare della situazione in questo periodo? Le nostre prospettive sono altrettanto preoccupanti di quelle nazionali, com’è naturale: giorno per giorno ci viene ripetuto quanto le nostre possibilità di inserirci nel mercato del lavoro (e ancora questo mercato!) siano ridotte, quanto un percorso universitario non ci garantisca più una carriera, eccetera. Tanto meno ci sembra di avere qualche possibilità di influenzare le vicende politiche, e neppure di avere voce in capitolo. Cosa possiamo fare? Cosa c’entriamo, noi?
“Impegniamoci in prima persona”, scriveva Davide un mese fa su questa stessa pagina. Io aggiungo: laddove non possiamo farlo, o anche dove possiamo, parliamone. Che sembra una battuta di spirito, e invece è l’essenza della democrazia. Perché alla fine sarà sempre un interesse tra i tanti a prevalere, ci saranno sempre una maggioranza e una minoranza, ma in Parlamento le leggi devono essere discusse prima che approvate. Perché un politico è tenuto a rendere conto del proprio operato ai suoi elettori, anzi, a tutti i cittadini. Ma se non impariamo noi innanzitutto a discutere, a confrontarci, a essere in grado di ascoltare le ragioni degli altri e di spiegare le nostre (il che non è sempre facile come sembra), senza farci influenzare da discorsi vuoti o manipolatori da demagoghi, non saremo neppure in grado di chiedere conto. A manifestare si va sempre con gli slogan, ma le decisioni si prendono dopo aver riflettuto. E discusso. Si parlava un tempo di “governo del fare” come se fosse la più geniale delle invenzioni, ma forse un “governo del riflettere” non sarebbe una cattiva idea. Soprattutto oggi.
Non resta che ribadire la cosa più ovvia: Cassandra è anche uno spazio di discussione. Chi vuole leggere è il benvenuto, chi vuole scrivere lo è altrettanto.
Martina Astrid Rodda
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